Chiesetta di San Giovanni Battista sul Monte Loffa

Tra i manufatti storicamente importanti di cui la Lessinia è protagonista la chiesa di San Giovanni Battista sul Monte Loffa, è un'insigne monumento all'interno del quale riposano tra l'altro le spoglie mortali di Guido Antonio Maffei. La suggestiva chiesetta, tradizionalmente definita romanica con tre magnifici altari di marmo realizzati in stili diversi e con un bel campanile in calcare la cui elegante cella campanaria è aperta da quattro bifore,  sorse su terreni che fin dal 1014 un diploma imperiale assegnava a San Zeno. La Chiesa venne consacrata il 28 luglio 1524.

In che epoca fu costruita?

A 1.055 m s.l.m., al centro di una vegetazione arborea di alto fusto, si eleva solitaria fra Sant’Anna d’Alfaedo, a cui appartiene per territorio, e Breonio (Fumane), della cui parrocchia fa parte, la suggestiva chiesa di San Giovanni in Loffa, dal nome del Santo a cui è dedicata e dal monte vicino al quale è stata edificata. Chiesa detta anche di “San Giovanni Battista de le Fosse”, per la vicinanza a questa località; di San Giovanni Battista in Monte o, semplicemente, césa di San Duàne.

Sulla data di costruzione di questo antico edificio, c’è discordanza di cifre. Don Andrea Campostrini (1838-1910), trattando dell’antica chiesa di San Giovanni Battista, la definisce antica parrocchiale e riferisce che se si dovesse dar credito alle cifre incise sopra la porta maggiore, la chiesa sarebbe stata edificata nel 1131, aggiungendo che, secondo la tradizione, questa è la seconda chiesa edificata lassù. “Prima ve n’era un’altra”, scrive lo storiografo locale ai primi del ’900, “nel piccolo piano sotto la chiesa presente e ad un centinaio di metri da essa, ed indizi di ruderi e fondamenta non mancano”. E conclude: “Ma questa col tempo deve essere andata in rovina per vecchiezza od altro, ed allora fu forza costruire la seconda più sopra, con allato campanile tronco, due campanette ed un po’ di canonica. La presente, per quei tempi, deve essere stata abbastanza vasta, ma bassa ed a capriate senza volta, come le chiese vecchie, specialmente di contado”. In un piccolo rialzo a nord della chiesa, sembra ci sia stato il cimitero dell’antica parrocchia in cui, secondo la tradizione, sarebbero stati sepolti i morti della peste del 1630.

Non è possibile individuare la data (1131) citata dal don Campostrini. Inventata, cancellata, distrutta, coperta da intonaco? Le uniche cifre, mai prese in considerazione, che, in condizioni favorevoli di luce, si possono osservare, sono incise sul monoblocco di pietra (un materiale localmente reperibile), composto da un piedistallo che supporta una boccia (sfera) sulla quale è infissa una croce di ferro. II tutto posizionato sul colmo del tetto della chiesa, sopra la porta principale. Se per tre delle quattro cifre, la prima, la terza e la quarta, non esistono dubbi di interpretazione, trattandosi di tre (1?11) uno, offre incertezza la lettura della seconda, che potrebbe essere un 4, e cioè 1411. Una data, quella del 1411, che non viene presa in considerazione da coloro che la storia la fanno sui documenti, ritenendola troppo indietro nel tempo, almeno per una porzione di fabbricato su cui insiste, che dovrebbe essere la più recente

Le visite pastorali

L’esistenza della Chiesa di San Giovanni in Loffa risulta però documentata fin dagli inizi della seconda metà del 1400. Nella visita del vescovo Ermolao Barbaro dell’ottobre 1454, viene infatti citata come cappella soggetta alla Pieve di San Floriano, e, quattro anni dopo (maggio 1458), è citata come dipendente di San Marziale di Breonio, che nel frattempo si era evoluta in parrocchiale come la vicina Sant’Anna di Cona. Tradizione vorrebbe che la chiesa di San Giovanni fosse esistita fin dal ’300 o forse anche anteriormente con funzione di chiesa madre della Lessinia centro-occidentale. Mons. Antonio Fasani, e non è il solo, assicura che fu chiesa parrocchiale verso il 1450 ed estendeva la giurisdizione su Breonio, S. Anna dal Faedo ed Erbezzo. Nel 1444, Erbezzo chiede di essere smembrata da San Giovanni, diviene membrum Ecclesiae Novae sub Grezzianae plebe, e nel 1529 viene eretta in parrocchia. Anche Breonio, nel 1454, chiede di essere smembrata e viene eretta parrocchia anche Sant’Anna. Lo saranno entrambe nel 1458. Notizie utili per la storia della chiesa di San Giovanni si possono ricavare dalle visite pastorali. Ricordiamo quelle effettuate da Gian Matteo Giberti, che fu vescovo di Verona dal 1524 al 1543. È il 10 giugno 1530, quando il Giberti, dopo essere stato a Sant’Anna e prima di recarsi a Breonio, fa la sua prima visita alla chiesa di San Giovanni Battista che trova sine cura e dipendente dalla chiesa di San Marziale di Breonio, di cui è rettore don Paulus de Maffeis, figlio naturale di quel Guido Antonio Maffei le cui spoglie mortali riposano in un’arca sepolcrale proprio all’interno della chiesa. In tale occasione ordina, fra l’altro, che vengano messi i vetri alle finestre e fatto il pavimento.

Vi ritorna due anni dopo, il 22 giugno 1532, e trova che non è stato ancora fatto il pavimento e messi i vetri alle finestre. In compenso il campanille in bona parte est factum, cui tantum deest cuba (il campanile in buona parte è fatto, al quale manca solo la cupola).

Effettua la terza ed ultima visita il 23 luglio 1541. Il pavimento non è ancora ultimato, per cui ordina che venga completato e che sia rinnovata la pala quia humiditate confecta (perché l’umidità la sta rovinando); i due altari, escluso il maggiore, vengano ornati del necessario; alle due finestre vengano posti i vetri cum ramatis (con graticci) e dipinta la croce sopra l’altare. Se ciò non fosse fatto, non sia più celebrata la messa da parte del curato di Breonio le domeniche di ogni mese. Come ultimo atto, su petizione ed istanza del curato e del popolo, sposta la festa della consacrazione della chiesa alla Decollazione di San Giovanni Battista. Consacrazione che avviene ad opera del vescovo Bartolomeo Averoldo il 28 luglio 1524, l’anno stesso in cui il Giberti viene nominato vescovo di Verona. A ricordare l’avvenimento c’è all’interno una lapide murata, che fa altresì memoria del restauro della chiesa (1633) reso possibile dalle offerte dei fedeli, mentre era arciprete di Breonio don GioBatta Fraccaroli o Fraccarolo, parroco dal 1630 al 1656, il quale ha lasciato scritto interessanti “Note”.

I custodi e gli eremiti

La chiesa in una fotografia degli anni 1960
La chiesa in una fotografia degli anni 1960

Alcune di queste note fanno riferimento ai custodi della chiesa di San Giovanni, per i quali detta alcune norme con l’obbligo di rispettarle. Per esempio, il custode è obbligato ad abitare nella casa di San Giovanni giorno e notte, salvo i mesi di dicembre, gennaio e febbraio, nei quali potrà recarsi nelle contrade di Breonio, Gorgusello e Molina. Deve suonare l’Ave Maria mattina e sera “et alla Messa quando si celebra in detta chiesa di S.Giobatta e nei giorni di tempesta”. L’ultimo che ebbe in custodia San Giovanni si chiamava Angelo Zivelonghi (1847-1930) ed era di Casarole, località non lontana da San Giovanni. Per questo suo incarico fu soprannominato el Frate e i Frati vengono ancora chiamati i suoi discendenti. I quali raccontano che, oltre a suonare le campane all’avvicinarsi di temporali grandinigeni andava in giro fino al lago di Garda per raccogliere olive, frutta, verdura per “tegnìr da conto la cèsa” col ricavato e per mandare avanti la famiglia a cui faceva parte anche una sorella, Teresa (1875-1957). Venutogli a mancare l’asinello per vecchiaia, el Frate lo sostituì con un cavallo. I benefattori, ritenendo che il salto di qualità non fosse estraneo alle loro offerte e che con le stesse si fosse indebitamente arricchito, non furono più tanto generosi con lui e… con la chiesa. La moglie dell’ultimo eremita, Pietrina Barbessi, finì i suoi giorni a San Giovanni in Loffa il 24 Luglio 1918, all’età di 77 anni.

Da luogo di culto a prigione

La chiesa, negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, da luogo di culto e devozione, venne trasformata dai partigiani in campo di concentramento. Vi rinchiusero infatti, ammassati come sardine (“come le sigarette in un pacchetto”, confesserà uno di loro), centinaia di tedeschi che scappavano dalla guerra con in testa un unico desiderio: tornare a casa. Buon per loro che, dopo tre giorni di bestiale, disumana segregazione, arrivarono gli americani. In quei giorni vi furono diversi morti (il sig. Lino Benedetti, autore dell’articolo da cui sono tratte queste notizie ne è stato testimone oculare).

L’interno della chiesa

L'interno della chiesa
L'interno della chiesa

A voler essere sepolto nella chiesa di San Giovanni, non fu soltanto, il nobile Maffei, ma anche uno dei parroci di Breonio (il decimo), don Giò Batta Simeoni, nativo del luogo, pastore di quella comunità per ben 52 anni, dal 1730 al 1782, anno della sua morte. Il quale mise a disposizione il terreno ed altri beni perché fosse costruita a Breonio una nuova chiesa (“la faccio col mio e sul mio”), che venne consacrata il 26 luglio 1825 e dedicata a San Marziale. A destra, entrando, un’epigrafe sul pavimento, prima che fosse rifatto, così ricordava il benemerito sacerdote: Rev.us D. Jobapta Simeoni huius parociae S. Martialis Breonii Archipresb. Et Vic. Foraneus X lustri Dei Verbi annuntiandi zelo fragrans. Aetatis suae lxxxiii claritate ingenio et pietate die VI aprilis a. d. mdcclxxxii in Domino placide obiit atque hic praevia eiusdem voluntate Conditum fidelium suffr. Exp. Quiescit. (Il Reverendo don Giò Batta Simeoni per dieci lustri Arciprete Vicario Foraneo di questa parrocchia di San Marziale di Breonio ardente dallo zelo nell’annunziare la parola di Dio, all’età di 83 anni illustre per ingegno e pietà si addormentò nel Signore placidamente il 6 aprile 1782 e fu qui sepolto per sua espressa volontà e qui riposa nel suffragio dei suoi fedeli).

 

Tre sono gli altari in pregiati marmi policromi. Il maggiore è dedicato al titolare San Giovanni Battista; gli altri due, addossati ai pilastri dell’arco dell’abside, sono dedicati alla Madonna del Carmine e alla Santa Croce. Sopra l’altar maggiore c’era una pala, con tre figure di Santi: San Marziale, protettore di Breonio, San Giovanni Battista dell’antica parrocchia e Sant’Urbano di Molina. La tela, metri 2x2,85, staccata dalla cornice, nel maggio del 1974, insieme con una croce in legno con Cristo disegnato e tabernacolo in metallo, è stata trafugata ad opera dei soliti ignoti, assieme ad un’acquasantiera in marmo e ad una scultura di San Giovanni in legno molto venerata e che veniva offerta al bacio dei fedeli in occasione della festa del Santo.

Da atti vandalici non si è salvata nemmeno l’arca sepolcrale del nobile Guido Antonio Maffei. Forse per curiosità o nella speranza di trovare al suo interno le armi, con le quali il Maffei, nel testamento, disponeva di essere sepolto, il 14 aprile 1950, è stata infatti violata da alcuni giovinastri, peraltro individuati e denunciati alle forze dell’ordine. L’arca in Rosso Ammonitico, che si può ammirare a mezza altezza di una parete come aveva disposto nel testamento di essere sepolto. Fra le due mensole che la sostengono, un’epigrafe, dettata da Giulio Della Torre, spiega solo in parte il motivo di questa presenza nella sperduta chiesa di montagna. Questo il testo: GVID. ANTONIO MAFF. / EQVITI ORNATISS. DE PATRIA / BENEMERITO AGRICVLTO / RVM 0PTIMO. IVL. TVR / RIANVS SOCERI INCOMPA / RABILI. EX TEST. P. / EREPTUS AN.S. M.DXXIII (Giulio Della Torre pose, soddisfacendo una disposizione testamentaria, al suocero incomparabile Antonio Maffei, cavaliere ornatissimo, benemerito della patria, ottimo fra gli agricoltori. Eretto nell’anno 1523). Perché Guido Antonio Maffei volle, da farlo scrivere sul testamento, che le sue spoglie mortali riposassero nella chiesa di San Giovanni? Fra le possibili cause, non ultima, il desiderio di stare, in un certo senso, vicino al figlio naturale don Paolo, che in quegli anni è arciprete di San Marziale di Breonio da cui San Giovanni è dipendente.

Le campane

I dati tecnici e storici delle due campane, ora fuori uso, installate sul tozzo campanile, vengono forniti da Mario Bacilieri di Breonio, studioso di storia locale, e da Giovanni Brentegani di Sommacampagna, che si definisce “un appassionato cultore di campane”. Secondo Bacilieri, a seguito del crollo di una parte del campanile della vecchia chiesa di San Marziale di Breonio, i sacri bronzi furono rifusi ed istallati sul nuovo campanile, ove rimasero fino al 1846, anno in cui sono stati sostituiti con quelli attuali. La più piccola delle tre campane, fu sistemata sulla vela di quello che resta del vecchio campanile di San Marziale. Le altre due,

verso il 1850, furono installate sul campanile di San Giovanni in Loffa. La maggiore, del diametro di bocca di 79 cm, pesa 255 kg e risponde alla nota musicale SI. Reca le scritte: “Questa campana fu rifusa in maggio dell’anno MDCCCXXII”, ed: “Inter natos mulierum non surrexit major Joanne Baptista (tra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista). Antonio Selegari erede di Pietro Partilora di Verona fece”. La minore, del diametro di 57 cm, di nota MI, del peso di 105 kg, porta la scritta: “Pietro Partilora fece a Breonio il 17 X 1821 con le elemosine dei fedeli”.

Oggi

Va sottolineato che la chiesa di San Giovanni, come ora la vediamo, è il risultato di diversi rimaneggiamenti,

di piccole o sostanziali aggiunte, di numerose ristrutturazioni verificatesi nel corso dei secoli. L’ultimo intervento è degli anni ‘90 che l’ha salvata da probabile rovina. In quella occasione si è, infatti, scoperto che, almeno una parte del fabbricato, era privo di fondamenta. Grazie ad opportuni, improcrastinabili interventi conservativi, è stata allungata la vita a questa suggestiva, vecchia chiesa, mèta, in passato, di pellegrinaggi, carica di storia e di secolari tradizioni.

Ora la chiesa, essendo da decenni incustodita, non è più aperta al pubblico, se si esclude, soprattutto il periodo estivo, quando riapre i battenti per accogliere i ragazzi della vicina casa, o in alcune circostanze, come per la Festa di San Giovanni (24 giugno), per la Madonna del Carmine (16 luglio), o per la Messa della notte di Natale.